Nick, Dale e Kurt sono tre amici trentenni legati da una comune avversione per i loro rispettivi capi. Nick lavora in una compagnia finanziaria accumulando straordinari e continue umiliazioni per ottenere una promozione che il suo perfido amministratore finisce per riservare a se stesso. Dale è l'assistente igienista di una dentista erotomane, ossessionata dall'idea di molestare sessualmente il suo sottoposto mentre i pazienti sono sedati. Kurt è invece il contabile di un'azienda chimica in adorazione del suo vecchio capo, finché un giorno questi muore lasciando la presidenza al viscido figlio cocainomane che detesta Kurt e cerca di sfruttare l'azienda solo per organizzare festini e accumulare capitale da spendere in vizi di dubbio gusto. Una sera, durante una chiacchierata a un pub, fomentata da qualche bicchiere di troppo salta fuori un'idea: perché non uccidere i propri capi?
Per una crisi del mondo del lavoro e un tasso critico di disoccupazione, c'è un'altra faccia del problema che guarda a impiegati in sempre maggiore subordinazione e boss legittimati a tenere misure estreme e regimi assoluti. In questa situazione, la commedia americana reagisce alla recessione con un sorriso contratto (Tra le nuvole), oppure voltandosi dall'altra parte per ridere più sonoramente. Come ammazzare il capo adotta questa seconda reazione: guarda di striscio alla recessione mondiale e allo spettro della Lehman Brothers non certo per indagare cause finanziarie e conseguenze sociali come in Inside Job, ma come pretesto per erompere in uno sfogo più violento, una baldoria più molesta e sfrenata. Così, dietro a un titolo da ironico manuale di automiglioramento, avvampa una commedia che, recuperando il sogno dell'uomo medio e i luoghi comuni sui criteri balordi della meritocrazia, trova in una deliberata anarchia, energica e vitalmente cialtrona, il proprio istinto primario e la sua forza scaccia-crisi.
Alla faccia della crisi, infatti, Seth Gordon (The King of Kong, Tutti insieme inevitabilmente) si concede un cast di sole celebrità e, per tenere alto il tasso di adrenalina e comicità all'interno di una farsa mossa da una pulsione omicida ma senza particolari guizzi di humour nero o toni grotteschi, decide di metterle alla prova lungo il sentiero della new wave del buddy movie goliardico, strampalato e vagamente misogino del genere Una notte da leoni. Se è vero che i continui cambi di situazione della storia sono dettati più da una vivacità sopra le righe vicina ai Farrelly che dai paradossi cerebrali dei Coen, il potenziale di pura anarchia dispiegato dal racconto può contare sull'impiego di ottimi attori e sulla singolare energia propulsiva liberata dalla loro interazione.
L'impetuosa verve del film sta quindi tutta nel gioco di squadra, in uno schema che conta su tre punte prese fra le nuove reclute della comicità televisiva e su una retrovia di soli fuoriclasse. I tre protagonisti lavorano su dinamismo e improvvisazione, danno luogo a dialoghi strampalati, situazioni improvvide e citazioni sbagliate (“Delitto per delitto è quel film con Danny De Vito?”) e creano tempi comici altalenanti ma perfetti attraverso il loro preciso disequilibrio da “strano trio”. Nelle retrovie, la leva professionista dei cattivi si fa forte del fatto di poter esaltare i personaggi che portano naturalmente dentro se stessi (Kevin Spacey, che diventa un Kaiser Sose in versione executive) o il relativo rovesciamento (Jennifer Aniston, che da fidanzatina d'America si fa ninfomane sboccata, e Colin Farrell, ridotto da action hero a impiegato esaltato con panza e riporto).
Certo, Come ammazzare il capo è in fondo solo una farsa spaccona a cui piace vincere facile: una commedia che punta sull'eccesso più che sul paradosso, sull'accumulazione di continui detournement sempre più concitati, con la certezza di poter contare su una pletora di celebrità tale da dover perfino lasciarne qualcuna sullo sfondo (come Donald Sutherland, praticamente una comparsa). Ma il film ha il pregio di alzare continuamente la posta, continuando a bluffare e a distrarre gli avversari con turpiloquio e sbruffonate, come a dimostrare che il gioco della commedia non è solo questione di quanti assi si ha in mano.
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